Abbiamo bisogno di un USR al di sopra delle parti

Ci è stato riferito che, in occasione del seminario di formazione rivolto ai nuovi dirigente scolastici. che è in svolgimento a Gardone Riviera, sono state date ai presenti informazioni che, salvo travisamenti, hanno provocato un notevole sconcerto, anche perché contrastanti con le indicazioni che questa Associazione ha dato ai nuovi colleghi in due seminari di formazione tenutisi a Brescia sul finire dello scorso mese di agosto, proprio in vista dell’assegnazione dei nuovi incarichi dirigenziali.

Da un primo relatore è stato sostenuto che “le funzioni strumentali al PTOF devono essere elette a scrutinio segreto dal collegio docenti”. Un secondo relatore ha successivamente sostenuto che “i collaboratori del dirigente scolastico non possono essere più di due”. Entrambi i relatori rappresentavano l’amministrazione scolastica regionale, quindi non potevano ignorare che le loro affermazioni avrebbero avuto sui dirigenti scolastici, alle prime settimane di servizio, un peso determinante. Ed è proprio questo aspetto che sicuramente meritava un supplemento di riflessione e di verifica.

L’approfondimento sui due temi in questione pertanto siamo costretti a farlo noi, anche per evitare il rischio di passare agli occhi dei nuovi colleghi per persone che raccontano favole, che distorcono la realtà a loro uso e consumo.  Rivestire un ruolo dirigenziale significa essere garanti del principio di legittimità e a questo vogliamo attenerci, anche in questa circostanza.

 

Partiamo dal primo problema.  Ci è stato riferito che il relatore per giustificare la sua posizione si è richiamato all’art. 33, comma 2, del CCNL comparto scuola del 2007.  Da quel contratto ci dividono più di dodici anni. Nel frattempo nel 2009 il decisore politico ha ritenuto necessario mettere mano al Testo Unico del lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni e di introdurvi numerose modifiche con l’obiettivo esplicito di restituire a coloro che rivestono qualifica dirigenziale gli ambiti di gestione e di azione che nel tempo erano stati sottratti dalla contrattazione collettiva e di proteggere questo spazio con norma pubblicistica, dichiarata imperativa e inderogabile. Del resto, se in ordine ai risultati da raggiungere risponde il dirigente, allo stesso dirigente deve essere attribuita la prerogativa  di organizzare l’ufficio a cui è preposto, in modo che sia messo nelle condizioni di assumere pienamente l’onere della responsabilità dirigenziale. Da questa revisione del T.U. è derivata la riscrittura dell’art. 5, comma 2, che attribuisce ai dirigenti, in via esclusiva, le competenze in ordine alla gestione del personale e all’organizzazione del lavoro, subordinandola al solo obbligo di fornire alla parte sindacale la relativa informazione , se richiesto, il confronto. Del pari è stato riformato anche l’art. 40, relativo alla contrattazione collettiva, che ha esplicitamente escluso dall’ambito della contrattazione “le

 

materie attinenti all’organizzazione degli uffici, quelle oggetto di partecipazione sindacale ai sensi dell’articolo 9, quelle afferenti alle prerogative dirigenziali ai sensi degli articoli 5, comma 2, 16 e 17, la materia del conferimento e della revoca degli incarichi dirigenziali, nonché quelle di cui all’articolo 2, comma 1, lettera c), della legge 23 ottobre 1992, n. 421”.

È noto che l’applicazione di queste modifiche sostanziali ha prodotto negli anni un abbondante contenzioso, fondato sul presupposto che ogni dirigente scolastico che volesse attenersi alle nuove norme potesse essere giudicato colpevole di comportamento antisindacale ex-art. 28 della Legge300/1970. Ma è altrettanto noto che molti dirigenti hanno resistito a questa pretesa in giudizio e che la vicenda giudiziaria si è conclusa con tre sentenze di Corte di Appello favorevoli al riconoscimento delle competenze del dirigente e all’esclusione delle stesse dalle materie rimesse al tavolo contrattuale, sia centrale che regionale e d’istituto, e con una sentenza della Corte Costituzionale che ha posto fine alla contesa riconoscendo, a sua volta, l’esistenza di un ambito gestionale e organizzativo di competenza del dirigente.

Vale la pena prendere in considerazione la prima sentenza n. 5163 del 26 luglio 2013, emessa dalla Corte di Appello di Napoli, con la quale si rigetta l’appello presentato da un’organizzazione sindacale avverso la sentenza di primo grado già favorevole al dirigente scolastico. Nelle motivazioni della sentenza si dichiara: “Appare, infatti, maggiormente convincente la tesi sostenuta dalla difesa erariale secondo cui il legislatore nella scelta dell’espressione <misure inerenti la gestione delle risorse umane> contenuta nell’art, 5, co. 2 D.lgs. 165/2001 ha volutamente utilizzato una dizione generica che ricomprendesse l’insieme delle attività necessarie all’espletamento del potere organizzativo/gestionale, sia attraverso la determinazione di criteri, sia tramite l’emanazione di provvedimenti sia attraverso la definizione di procedure.   Anche sotto questo aspetto sarebbe, infatti, illogico ritenere che il legislatore da un lato abbia inteso estendere i poteri dirigenziali tramite la modifica dell’art.5 D.lgs.165/2001 e dall’altro, proprio nella formulazione di tale articolo, avesse limitato tali poteri a semplici misure attuative. Da tutto quanto esposto, consegue che l’attività posta in essere dal Dirigente Scolastico non può dirsi antisindacale avendo egli legittimamente ritenuto di dover escludere dall’ambito della contrattazione collettiva integrativa le materie in esame in virtù dell’attribuzione delle stesse alle sue dirette prerogative”.

La successiva sentenza della Corte d’Appello di Bologna, n. 445 del 10 giugno 2014, respinge l’appello di due organizzazioni sindacali sulla base delle stesse motivazioni. Così pure fa la Corte d’Appello di Firenze, con sentenza n. 544 del 12 giugno 2014.

La vicenda viene portata al terzo grado di giudizio da due organizzazioni sindacali di comparto, ma anche la Corte di Cassazione con sentenza n. 16837 del 24 giugno 2019, sancisce che “In definitiva, a partire dal d.Igs. 150/2012, la misura della partecipazione sindacale alle decisioni sulla c.d. microrganizzazione, è stata rimessa dall’art. 5 (e 9) d.Igs. 165/2001 alla disciplina della contrattazione collettiva, legittimata dapprima (tra l’entrata in vigore delle modifiche di cui al d.Igs. 150/2009 e le successive modifiche di cui all’art. 2, co. 17, d.l. 95/2012, conv,. con mod. in L. 135/2012) soltanto a prevedere una mera informativa, quindi (con le modifiche di cui all’art. 2, co. 17, cit.) a prevedere l’informazione ai sindacati per le determinazioni relative all’organizzazione degli uffici, ovvero l’esame congiunto per le misure riguardanti i rapporti di lavoro ed ora infine, con le ulteriori modifiche di cui all’art. 2 lett. b) d. Igs. 75/2017, a prevedere l’informativa predetta o, più ampiamente, «le ulteriori forme di partecipazione».”.

Ai fini dell’argomento da cui siamo partiti è sicuramente opportuno richiamare anche due interessanti pareri del Consiglio di Stato. Il primo è il Parere del 27 ottobre 1999 n. 1603, relativo alla competenza del dirigente scolastico in materia di gestione finanziaria e strumentale, che l’art. 25-bis, del D.lgs. 31 marzo 1998, n. 80 attribuisce in via esclusiva al dirigente scolastico, nel quale si dichiarano superate ex-lege le competenze dei consigli di istituto e delle giunte esecutive.

Il secondo Parere, il n. 1021 del 26 luglio 2000, appare più stringente ai fini del nostro ragionamento, nel senso che il MIUR chiede se nel nuovo regime di autonomia scolastica possano sopravvivere le norme che attribuiscono al collegio dei docenti la competenza ad eleggere i docenti incaricati di collaborare con il capo d’istituto. Il Consiglio risponde che il comma 5 dell’art. 25-bis attribuisce al dirigente la facoltà di avvalersi della collaborazione di docenti, da lui individuati, ai quali può “delegare” compiti specifici. “Tale ultima disposizione appare tuttavia incompatibile con quella dell’art.7, comma 2, lettera h) del D.lgs. n. 297/94 che, come si è detto, attribuisce al collegio dei docenti la competenza ad eleggere i collaboratori del capo d’istituto. Poiché le due disposizioni disciplinano la stessa materia in modo differente, l’amministrazione ritiene prevalente la disposizione successiva nel tempo.”.

La conclusione di questo exursus serve a dimostrare, da un lato,  che il dirigente scolastico dispone di un proprio esclusivo ambito di competenza, sancito dalla legge e riconosciuto dalla giurisprudenza al suo massimo livello; da un altro lato che ciò che è stato ricondotto nell’ambito di competenza dell’organo monocratico non può essere condiviso né devoluto ad altri organi collegiali, come dimostrano chiaramente i pareri del Consiglio di Stato.

È su tale fondamento che riconosciamo al collegio dei docenti il diritto di identificare con propria delibera le funzioni strumentali, intese come aree di lavoro che i docenti sentono l’esigenza di supportare attraverso una specifica figura, in quanto attinenti al piano dell’offerta formativa. Ma l’individuazione delle persone cui affidare la funzione compete al dirigente scolastico ai sensi dell’art. 5, comma 2 del D.lgs. 165/2001, che essendo stato modificato nel 2009 è successivo alla norma contrattuale e quindi la sovrascrive.

 

Per quanto riguarda il secondo argomento di dissenso è evidente che il secondo relatore ha fatto riferimento all’art. 88, comma 2, lettera f) del CCNL comparto scuola del 2007, sempre lo stesso. Sorprende e preoccupa, anche in questo caso, che non si sia tenuto conto della gerarchia delle fonti e del successivo aggiornamento del quadro normativo cui occorre invece fare riferimento.

È noto che la questione dei collaboratori del dirigente scolastico è stata disciplinata attraverso l’art. 25, comma 5, del D.lgs. 165/2001, quindi con norma pubblicistica. Il comma citato afferma che “Nello svolgimento delle proprie funzioni organizzative e amministrative il dirigente può avvalersi di docenti da lui individuati, ai quali possono essere delegati specifici compiti. La norma originaria, quindi, non ha mai posto vincoli numerici ai possibili collaboratori i quanto delegati, cosa che ha fatto, con una evidente ed impropria forzatura il CCNL di comparto del 2007, senza che la parte pubblica opponesse resistenza e senza mai esplicitare le ragioni del vincolo, che comunque non è difficile intuire soprattutto da parte di chi siede ai tavoli contrattuali a livello d’istituto.

Siamo quindi in presenza di una prescrizione legislativa, compressa attraverso un intervento contrattuale di comparto che è entrato in un ambito non di sua pertinenza, trattandosi di questione di competenza dirigenziale, come precisato dall’art. 25.

La situazione è evoluta con la Legge 107/2015, che all’art. 1, comma 83, ha istituito lo staff dirigenziale, affermando che “Il dirigente scolastico puo’ individuare nell’ambito dell’organico dell’autonomia fino al 10 per cento di docenti che lo coadiuvano in attivita’ di supporto organizzativo e didattico dell’istituzione scolastica”. Quindi il dirigente “può”, in piena discrezionaità e in stretta coerenza con le esigenze organizzative sottese alla realizzazione del PTOF, decidere il numero dei suoi collaboratori, alla sola condizione che questo numero non superi il tetto del 10% dell’organico dell’autonomia, che comprende sia i docenti IRC che i docenti di sostegno. Considerata la complessità degli istituti scolastici della Lombardia, un dirigente potrebbe decidere di farsi affiancare da dieci o quindici e financo da venti docenti, ai quali affidare incarichi e deleghe, da esonerare in parte dall’insegnamento e da destinare a compiti progettuali, di coordinamento ed organizzativi, esattamente come prevede l’art. 27 del nuovo CCNL del comparto istruzione e ricerca 2018 che dichiara “Il profilo professionale dei docenti è costituito da competenze disciplinari, informatiche, linguistiche, psicopedagogiche, metodologico-didattiche, organizzativo-relazionali, di orientamento e di ricerca, documentazione e valutazione tra loro correlate ed interagenti, che si sviluppano col maturare dell’esperienza didattica, l’attività di studio e di sistematizzazione della pratica didattica”.

Alla luce di questo quadro normativo, in forte evoluzione sia sul piano legislativo che contrattuale, richiamare come vincolante un’indicazione contrattuale del 2007 appare del tutto fuorviante, ma anche incongruente con il principio di par condicio. Che senso avrebbe assegnare compiti organizzativi, di coordinamento e di collaborazione con il dirigente a quindici o venti docenti e poi introdurre compensi a carico del FIS per due di loro e chiedere ai restanti che prestino lavoro volontario a titolo gratuito? Il principio generale da applicare al salario accessorio prevede che ogni prestazione di lavoro aggiuntiva abbia diritto ad una retribuzione proporzionale al carico di lavoro svolto e ai risultati conseguiti. Aggiungiamo, per dirla tutta, che non possiamo continuare a disquisire nei convegni sulla leadership “partecipata” o “diffusa”, argomento tra i più gettonati, e poi invocare un contratto d’antan per motivare un limite introdotto senza avere il coraggio di esplicitarne la motivazione.

 

Vogliamo sperare che queste veloci note contengano sufficienti elementi per rivedere le indicazioni da dare ai nuovi dirigenti scolastici nei prossimi incontri seminariali. Bisogna rendersi conto che i colleghi sono stati immessi in ruolo in un momento particolarmente complesso e confuso della storia della scuola italiana. Non è facile intraprendere una nuova professione, che comporta l’assunzione di non poche responsabilità, con le segreterie sguarnite e con vuoti di organico difficili da colmare. Le emergenze sono tante e richiedono un grande impegno di lavoro. Non è opportuno aggiungere altri problemi, bastano e avanzano quelli esistenti.

Massimo Spinelli
Presidente ANP Lombardia